Il cibo al Salone del libro


Il primo giorno all’ultimo Salone del libro di Torino, verso mezzogiorno, sono andata a comperare qualcosa da mangiare. C’è voluto poco per rendermi conto che l’offerta era piuttosto deludente, per me abituata a mangiare molto semplicemente, ma sempre cibo buono. Si poteva scegliere tra tranci di pizza o hamburger, patatine e gelati di marchi da autogrill. Questa è una cosa che proprio non capisco. Com’è possibile che a Torino, città che vanta storici caffè, pasticcerie e cioccolaterie e che ospita regolarmente anche il Salone del gusto, non si riesca a organizzare un’offerta di cibo dignitoso per una manifestazione come il Salone del libro?
E se estendo il pensiero, mi chiedo come sia possibile che in Italia la stragrande maggioranza dei bar serva le colazioni con cornetti surgelati, formaggi gommosi e ambigui salumi dolci e salati?
Che strano Paese siamo!
Comunque sia, ho pensato, domani non mi colgono più impreparata. E la domenica sono arrivata, come hanno sempre fatto i provinciali in gita, fornita di buon cibo da condividere con gli amici di Pentàgora che ospitavano Agrispesa nel loro stand: robiola di Roccaverano, toma dolce, tuma del marsèl, grissini di farro, filetto di trota salmonata affumicata, nocciole di Langa tostate, crema di nocciole e miele, gallette di farro soffiato.  Anche i liguri pentagoriani Helena e Alessandro, hanno fatto la loro parte e la focaccia genovese ci ha accompagnati per tutta la giornata. Quel giorno mi sono sentita meglio, perché a me il cibo buono fa proprio bene e, se mangio cibo non buono, sento subito qualcosa che non va. 

Storie di agricoltura.