Nesler CibOfficina

La nostra azienda è una piccola azienda agricola che è nata nel 2016 perché io, già da diversi anni, sono un formatore in ambito delle fermentazioni in forme alternative, per cui tutte le fermentazioni che non sono così comuni per noi, cioè quelle più comuni come il vino, la birra, il pane, di solito non le tratto, ma parlo di altre cose come le verdure fermentate, il miso, la kombucha, il kefir eccetera. Nel 2016 sono finalmente riuscito a fare anche una mia piccola azienda di produzione che nasceva come Cibofficina microbiotica.

L’interesse per il cibo fermentato è una cosa che ho sviluppato molto da piccolo, nel senso che da piccolo ero appassionato di cucina, mi piaceva fare prima dolci, poi anche il resto della cucina, già a 7 anni facevo lo yogurt, poi ho iniziato a fare la pasta madre, poi crauti, un pochino più grande mi sono messo a fare la birra, il vino.

Questa cosa si è sviluppata come una passione personale molto lentamente e per molti anni e non mi rendevo neanche conto di essere appassionato di queste cose fino a quando mi è capitato di fare un corso di permacultura con Saviana Parodi e scoprire che lei mi diceva “perché non vieni tu a insegnarci a fare le fermentazioni visto che ne sai più di me”. Io non pensavo di sapere queste cose e in effetti mi sono reso conto che anni di passione, di curiosità, mi avevano portato a costruirmi un piccolo bagaglio culturale che era abbastanza inconsueto.

Questa richiesta da parte di Saviana di iniziare a fare dei corsi, che poi ha avuto uno sviluppo successivo abbastanza importante, è stato uno stimolo per studiare ancora di più, fare delle prove, prendere altri libri, perché di fatto io sono un autodidatta: ho iniziato molto tempo fa, ma non ho mai avuto dei maestri se non incontri casuali, nei viaggi, di gente che faceva singole cose e magari mi spiegava quello che faceva, un po’ quasi un lavoro antropologico più che di insegnamento.

Così questa passione me la sono portata avanti perché sono sempre stato curioso e sempre mi hanno affascinato queste trasformazioni che, apparentemente, almeno dai miei occhi di bambino, erano quasi magiche, cioè le cose si trasformavano e non si sapeva bene come. Solo quando sono stato un po’ più grande, da adolescente, ho cominciato a capire che c’era dietro tutto un mondo microbico, di microbi utili, come i lieviti, che trasformavano questo cibo facendolo diventare così interessante e delizioso.

Così tanto per dire come ho iniziato ad appassionarmi a queste cose. Poi quando ho iniziato a riprendere in mano libri, anche libri nuovi che sono andato a cercare, non sono riuscito a trovare dei corsi, degli insegnanti, perché all’epoca non si trovavano, quantomeno in Europa, in Italia, in Germania – io parlo il tedesco e l’inglese, non sono riuscito a trovare dei corsi sui cibi fermentati che interessavano a me, cioè sul farli e così mi sono un po’ arrabattato.

Nel 2016 sono finalmente riuscito a trovare un posto qui a Viterbo da affittare per iniziare la nostra attività, ho preso in affitto un piccolo ristorante in campagna che ho trasformato in un laboratorio di produzione e ho iniziato a fare un po’ di verdure fermentate, un po’ di miso, di Kimchi, di Kombucha, di shoyu, ho iniziato un po’ a fare vari prodotti anche per capire, per proporre, per far vedere agli altri come si facevano. Ho avuto anche diversi ragazzi che sono venuti un po’ imparare da me per capire come si può fare effettivamente non solo la fermentazione ma farne un mestiere, farne un’azienda.

Poi piano piano siamo cresciuti, a un certo punto, un anno e mezzo fa, l’azienda che, era una ditta individuale, si è trasformata in una società di persone perché è entrato in azienda Paolo, il mio socio, che si occupa più che altro della parte amministrativa, che per me era fondamentale, perché così mi posso dedicare meglio a seguire tutta la parte di produzione e così via.

Quello che per me è fondamentale nella mia azienda sono fondamentalmente tre-quattro cose cioè di utilizzare prodotti locali, cioè rispettosi dell’ambiente, cioè dove io ho il controllo diretto o quasi diretto della loro qualità, di utilizzare le fermentazioni, che migliorano il nostro cibo, e di non pastorizzare le cose per rispettare anche l’ambiente microbico, che poi è anche utile per noi. L’ultima cosa, che però non è l’ultima ma la prima, è che io dico deve essere tutto sostenibile non nel senso comune del termine soltanto, ma anche nel senso umano, cioè noi dobbiamo stare bene.

Io cerco che i ragazzi che lavorano con me possano avere una giornata serena, tranquilla, possano avere una condizione di lavoro piacevole e questo non è per niente scontato, secondo me, ed è bello perché alla fine se io sono contento, mi diverto, certo facciamo anche fatica, a volte ci stressiamo, però siamo un gruppo di amici, fondamentalmente, come una piccola famiglia, allora anche i nostri prodotti è facile che escano meglio e che i ragazzi si appassionino, ci mettano cura perché quando noi lavoriamo in piccoli lotti, tutto a mano, possiamo controllare, verificare meglio e se ci sentiamo sereni nel lavoro allora anche, non solo io ma anche gli altri ragazzi che lavorano con me hanno la possibilità di sentirsi partecipi: se c’è qualcosa che non va non lo ignorano, non lo trascurano, ma ci mettono la cura, vengono da me mi dicono “senti, ma qui cosa facciamo” e allora riusciamo a mantenere un livello alto della nostra protezione.

Fino a un secolo e mezzo fa, tantissimi prodotti fermentati – ancora un po’ li abbiamo- è stata un po’ l’industrializzazione a farceli dimenticare. Prodotti che abbiamo, oltre al pane e al vino, che sono proprio il simbolo del cibo, possiamo pensare a tutte le verdure fermentate, a tutte le verdure che noi conosciamo adesso sottaceto o sottolio una volta venivano fatte con la fermentazione; le olive sono fermentate, i capperi ma anche tutti i formaggi sono fermentati e anche tutte le carni conservate come prosciutti, salami hanno un processo di fermentazione.

Noi non ci pensiamo a questa cosa, che in realtà ci sono i microbi che trasformano il nostro cibo in qualcosa di migliore, però di fatto c’è, e c’è in tante cose e in tanti casi abbiamo un po’ la fobia dei microbi, perché con l’avvento di Pasteur, che ha fatto delle affermazioni, ha divulgato delle affermazioni altisonanti come “i microbi ci fanno ammalare”, “i microbi fanno andare a male il cibo”, facendo delle affermazioni generiche, invece sono certi microbi che sono pericolosi, altri sono utili. Queste cose ci hanno fatto un po’ prendere queste parole come qualcosa di brutto; c’è tanta gente che quando dici “fermentato” pensano “andato a male”, che se dici “microbi” pensano a una malattia. Allora non è bello, allora la gente nasconde, l’industria ci nasconde i processi fermentativi e non ti dice che, ad esempio, quel formaggio è maturato con una miriade di microbi che lo trasforma, ti dicono semplicemente che è maturato.

Poi, tra l’altro, l’industria, siccome è difficile gestire i microbi, soprattutto su larga scala, quando si parla di quantità grandi, quello che succede è che hanno cercato, in tanti casi, di creare dei processi che imitassero la fermentazione senza essere veramente fermentativi, per cui si è iniziato a produrre delle bevande gassate, anche analcoliche, come una volta c’erano fermentate, semplicemente aggiungendo l’anidride carbonica, lo zucchero e un po’ di acido: fai un finto. Ci sono surrogati del formaggio fatti con la caseina semplicemente, senza doverli fermentare, ci sono tanti prodotti che dopo essere fermentati vengono pastorizzati, cioè l’industria dice “stabilizzati”, che vuol dire che comunque perdono buona parte del sapore e buona parte delle caratteristiche sia fisiche che biologiche. In realtà io ho introdotto alcune tecniche orientali come quella di fare il miso o lo shoyu, che sono i miei prodotti principali, però in realtà non sono tecniche così tanto diverse da altre tecniche che noi utilizziamo, sono leggermente diverse però alla fine, adattandole alle nostre materie prime, alla nostra cultura, ci siamo un po’ arricchiti piuttosto che avere stravolto qualche cosa.

Quando mi sono avvicinato alla permacultura, c’è un elemento della permacultura che mi è sempre piaciuto ed è quello che dice che le conoscenze vanno condivise, non solo le conoscenze anche il surplus materiale però c’è questa idea che il surplus di idee, di pensieri, di conoscenze vada anche condiviso con gli altri perché ci si arricchisce tutti. Io noto che c’è una grande carenza dal punto di vista della conoscenza del cibo ma soprattutto della consapevolezza. Quello che manca tanto a noi oggi è sapere cosa mangiamo, perché ci mettono davanti una confezione con un’etichetta che spesso noi non riusciamo nemmeno a leggere tutta perché spesso abbiamo altri pensieri, ma anche quando la leggiamo spesso non ci dà le informazioni che vorremmo avere, perché non le contiene, semplicemente: per legge molte informazioni non sono necessarie in etichetta. Se noi fossimo più consapevoli sul cibo potremmo migliorare la nostra alimentazione, il nostro piacere, il nostro rapporto con l’ambiente, col nostro ecosistema. Questo per me è cruciale.

Allora io ho iniziato da molti anni a considerare la mia attività nel mondo della fermentazione come un’attività culturale che può aiutare le persone a migliorare la loro consapevolezza sul cibo; per questo faccio un po’ di divulgazione, faccio corsi, faccio video, scrivo sull’etichetta magari una parolina in più che stuzzica, che mette un po’ la pulce nell’orecchio, allora uno dice perché questo ha scritto “non pastorizzato” e magari, senza che io dica niente, qualcuno inizia a pensare, a fare una propria ricerca e questa è un po’ la mia idea. Infatti spesso ripeto io non faccio il produttore perché voglio fare prodotti, perché è giusto e interessante fare l’imprenditore, in Italia, oggi. Non è proprio una cosa promettente, ma ho fatto un’azienda di produzione per fare cultura.

Io ho 52 anni, in azienda siamo io il mio socio e tre dipendenti, di cui uno part-time, che si occupano due del laboratorio e uno sia dell’orto che delle spedizioni.
Nell’orto attualmente riusciamo a fare solo verdure: le parti vegetali tipo verdure, che non sono una grossa parte nella nostra produzione, vengono dall’orto invece tutta la parte di cereali e legumi è una parte dove stiamo collaborando con agricoltori qui del territorio ma soprattutto stiamo anche cercando di trovare un pezzo di terra dove coltivare noi, anche in parte, i nostri legumi e cereali perché sarebbe molto bello; anche se non ti nascondo che io sono dell’idea che per noi sia importante collaborare anche con i contadini anche per suscitare anche in loro l’interesse, la curiosità e fargli capire che lavorare in un certo modo noi lo apprezziamo e lo apprezzeranno anche altri. Diciamo che il mio orto è più sperimentale, nell’orto non usiamo nulla, io sono per l’autarchia dell’orto, i nostri risultati sono altalenanti però continuiamo ad andare avanti perché comunque abbiamo altri produttori che ci forniscono le materie prime per cui va bene così.