La stagione della trasformazione

“ Questa è di fatto è la stagione della trasformazione – ci dice Paolo Priotti di Cascina Danesa – per cui non faccio molto altro se non pestare mele.

Io sono assolutamente talebano sul discorso della cernita della frutta. È vero che tutto fa brodo, tanto per citare una delle tante stupidaggini che si sentono, ma questo non è sinonimo del fatto che una qualunque mela o una qualunque pera, quale che sia il suo stato di conservazione, di maturazione, di tipologia, di magagna che ha addosso, sia poi in grado di darti un succo decente. Ci sono alcune magagne che fanno diventare la frutta di seconda scelta. Allora, nella mia azienda, quelle finiscono in compostiera e l’anno successivo io ho un buonissimo compost rosso di lombrichi da spargere nei filari, chiudendo il ciclo dalla fila ritorna alla fila.

Quindi il primo lavoro è la cernita. Il secondo lavoro, mentre si fa la cernita, è fare la miscela, perché si fa in fretta a dire mele, ma non è tutto uguale, non sono così allegramente interscambiabili una con l’altra.
Io in realtà nel tempo mi sono costruito, innestandomi le piante e i varietali, il mio frutteto. Che è un fruttetto arlecchino, nel senso che c’è un po’ di questo, un po’ di quello, un po’ di quell’altro, in funzione di volta in volta di mettermi lì a fare del sidro piuttosto che del succo.

Mi sono orientato molto verso le vecchie varietà per due motivi. Il primo motivo è che dal punto di vista del parco aromi è un altro universo, un altro mondo, non ce n’è per nessuno. E poi si tratta di praticamente tutte quante varietà che si sono sviluppate, ce l’hanno fatta in tempi non sospetti, cioè quando l’aiutino chimico non c’era. Sono quelle le varietà dei bisnonni e via dicendo. E quindi questo vuol dire che in campo ti porti resistenza, ti porti resilienza, ti porti una buona rusticità. Non è che questo ti autorizza a lasciarle abbandonate a se stesse, perché poi un po’ patiscono anche loro. Detto questosi prestano molto di più a una coltivazione in bio che nonla Golden di Melinda. E quindi io parto da lì e in mezzo a quella biodiversità che mi sono costruito, da lì faccio le mie miscele di mele, di volta in volta per il succo piuttosto che per l’aceto, piuttosto che per metterla a fermentare e fare il sidro.

Mi sono costruito il parco varietale che mi aggradava di più per riuscire a fare, secondo me, al meglio delle mie possibilità i trasformati che faccio. Fondamentalmente questo discorso vale per i succhi, così come vale per l’aceto, così come vale per i sidri, che sono le tre tipologie di trasformati che io faccio. Si parte dal campo, come una volta, come i contadini. I contadini sono sempre stati i primi trasformatori, in realtà l’industria poi è arrivata dopo.

A me piace dire che io inizio a fare succo tra gennaio e febbraio, quando entro nelle file e comincio a potare per la stagione nuova. Un po’ come alcuni vignaioli ti dicono che il vino si comincia a fare quando vai nella vigna, è lì che cominci a fare il vino. E poi quello del liquido che finisce in bottiglia è l’ultimo di una serie di passaggi che iniziano l’anno precedente, di inverno con la potatura. Alla fine, se ci pensi bene, niente di nuovo sotto il sole, nel senso che nessuna di queste robe qua è una novità in realtà.

Si tratta di prenderele cose buone dei vecchi modi di fare, dei vecchi modi di coltivare e dire. Perché poi l’abitudine negli anni è stata quella che i vecchi modi di fare li buttiamo, perché abbiamo a cuorela tendenza, perché c’è la varietà che come la metti produce sempre, poi in realtà sei sempre a lui a spruzzargli addosso. E questo è quello che è successo in particolare negli ultimi decenni in frutticoltura, secondo me per primo, e poi a seguire in tutti quanti gli altri ambiti dell’agricolo. E quindi io ho recuperato un po’ di robe che meritavano essere recuperate, perché avevano una validità ancora contemporanea.

E poi, insomma, nel frattempo qualcuno ci ha studiato, qualcuno ha pubblicato, qualcuno ha fatto esperienze, i confronti, tutto quanto è passibile di miglioramento, di aggiunta.L’importante è avere l’idea un po’ chiara su dove si va e come arrivarci e poi ci si arriva, semplicemente ci si arriva. Dopodiché se poi, dopo 15 anni, ho ancora dei colleghi e dei vicini che mi guardano come se fossi un alieno, perché coltivo le mele per schiacciarle invece che per fare il plateau e portare in piazza.  Fare l’alieno, caratterialmente mi dà fastidio, ma continuo ad andare avanti per la mia strada. ”

Storie di agricoltura.